Corridoi verdi e foreste tascabili
Ovvero: soluzioni per integrare il verde nelle nostre città e combattere le isole di calore
Siccome al momento a Roma fa caldo e sono a casa a scrivere anziché essere in spiaggia, ho bisogno di dedicarmi a qualcosa di rinfrescante. Di birrette si è già parlato e quindi oggi mi dedico al verde e vi porto un paio di casi di studio interessanti.
Comincerei dalla Colombia, dalla città di Medellin per l’esattezza.
Medellin ha avuto uno sviluppo rapido, parliamo di un arco temporale di 50 anni e uno dei risultati di questo sviluppo è stata la creazione di un’isola di calore che aveva un effetto forte sulla popolazione.
Per contrastarla, nel 2016 la città ha iniziato l’implementazione di un programma triennale del valore di 16 milioni di dollari, che visto la creazione di 30 corridoi verdi, con la piantumazione di 8800 alberi e palme e 2,5 milioni di piante più piccole. I corridoi verdi mettono in comunicazione i parchi della città.
Il risultato visivo sono 5000 m2 di verde verticale, impiantato sui muri, e 65 ettari di superficie verde supplementare.
I risultati in termini di temperatura, invece sono questi: 4,5°C in meno in prossimità dei corridoi e 2°C in meno come temperatura media nella città. Gli esperti si attendono un’ulteriore riduzione di 4 o 5°C nei prossimi anni. Il tutto con una diminuzione dell’inquinamento e dei problemi di salute correlati e un incremento dell’uso della bicicletta per gli spostamenti da parte degli abitanti (con benefici a cascata), oltre a una quantità di CO2 assorbita dalle nuove piante non trascurabile.
Tutto questo è possibile perché questi nuovi habitat forniscono alla città dei servizi ecosistemici, primi fra tutti quello di filtrazione dell’aria e raffrescamento.
Si è inoltre dimostrato che i primi “spot” su cui intervenire con i maggiori benefici sono quelli più inquinati: uno dei corridoi verdi chiave di Medellin è infatti una delle strade più inquinate della città, con un milione di passaggi al giorno.
Ciliegina sulla torta: il progetto ha avuto anche un risvolto sociale. 75 cittadini provenienti da contesti disagiati sono infatti stati istruiti gratuitamente per diventare giardinieri della città e tecnici.
A New York, invece, questa primavera ha visto la creazione di una “pocket forest” (“foresta tascabile”) sulla Roosevelt Island. Il progetto ha coinvolto circa 370 m2 (da qui il fatto che è una foresta tascabile) e 1500 alberi, per un totale di 47 specie native (fra alberi e piante). L’area è ubicata in un’area strategica per proteggere la Roosevelt Island dall’erosione e dalle inondazioni, allo stesso tempo migliorando la qualità dell’aria e prevenendo il dilavamento dei contaminanti.
Questa “pocket forest” non è una novità: è stata infatti introdotta sulla scia del successo di progetti simili sia negli stati uniti che in Asia e segue il metodo Miyawaki.
Il metodo prende il nome dal suo ideatore, l’ecologo e botanico giapponese Akira Miyawaki, nato nel 1928. il metodo è stato sviluppato in un’ottica di restauro ecologico, cioè nella riforestazione si cerca di copiare quanto più possibile quello che succederebbe spontaneamente in natura.
In estrema sintesi, il metodo prevede di selezionare piante autoctone, organizzate in maniera “pluristratificata” (per semplificare: avete presente che ci sono sempre piante di sottobosco e piante alte, no?). In particolar,e si avranno specie principali e specie di supporto. Considerate che si possono selezionare anche più di un centinaio di specie.
Individuate le specie, se ne raccolgono i semi in aree vicine a quelle su cui si vuole intervenire e li si fa germinare in condizioni controllate. Le piantine sono fatte poi gradualmente abituare alle condizioni che troveranno nel loro sito di destinazione.
Dall’altro lato, si va a preparare il sito di impianto, smuovendo il terreno e arricchendolo di sostanza organica.
Una volta preparato il terreno, le piante vengono messe a dimora, con un’alta densità.
Il risultato? Un ambiente forestale analogo a quello naturale (cioè, non vi aspettate un giardino giapponese… a occhio sembra più un ammasso di verde incolto!), con una grande biodiversità e pronto a fornire servizi ecosistemici, il tutto in tempi molto ridotti rispetto a quelli che servirebbero a Madre Natura.
Considerate infatti che il metodo è stato creato in un’ottica funzionale, cioè, proprio per poter riportare i servizi ecosistemici dove sono necessari: per esempio per creare barriere protettive contro incendi o tsunami o per mitigare delle emissioni.
Quando ne vedremo in Italia? Arrivano, arrivano. Ci sono progetti in Europa e anche da noi!
Se siete interessati al progetto della pocket forest a New York, potete guardare qui.
Se invece vi incuriosisce Medellin, vi consiglio questo video del World Economic Forum.
Ma il bosco verticale di CityLife a Milano vale 😁? Spunto bello e interessante come al solito, grazie