Si ha paura di quello che non si conosce, quindi questo articolo vuole essere un contributo personale a far conoscere i depuratori, che sono il punto fondamentale sia per la tutela delle nostre acque che per il loro riuso, spesso ostacolato proprio da una mancanza di fiducia che viene dal non conoscere come questi impianti funzionano.
Questa volta porto tutti i curiosi ma non del mestiere a vedere, in modo molto semplice, come è fatto un depuratore.
Cosa c’è nel refluo di una fogna civile
Bisogna partire da qui, dal capire cosa c’è dentro l’acqua che arriva.
La fogna civile non raccoglie solo gli scarichi delle case, ma anche gli scarichi delle attività produttive, eventualmente pretrattati per essere resi idonei allo scarico nella fognatura, oltre alle acque piovane, dove non esistono reti di raccolta separate.
I reflui quindi contengono, a grandi linee:
sostanze organiche biodegradabili
composti dell’azoto e del fosforo, a cui ci si riferisce come “nutrienti”, poiché hanno un ruolo fondamentale nella crescita di alghe e batteri
sostanze oleose
solidi in sospensione di vario tipo (inerti come sabbia o simili oppure organici)
batteri, virus ed altri microrganismi
tensioattivi (usati nei prodotti per la detergenza), microinquinanti spesso difficilmente biodegrabili, pesticidi, solventi
A queste sostanze si aggiungono poi i “nuovi” contaminanti di interesse (cioè che ci preoccupano): PFAS e farmaci, per dirne due. Ai PFAS ho accennato anche parlando della nuova direttiva europea.
Tutte queste sostanze devono essere rimosse in modo da tutelare la qualità delle acque e la vita che le abita (oltre alla nostra).
L’ingresso
Per prima cosa è necessario “sgrossare”, cioè rimuovere materiali di grosse dimensioni che potrebbero andare ad ostruire tubazioni o danneggiare parti meccaniche tramite una grigliatura: il refluo passa attraverso una griglia che trattiene tutto quello che può essere finito nella fognatura, inclusi rami o oggetti.
Si passa quindi a una rimozione grossolana delle sabbie e altri materiali inerti e degli oli, in apparecchi chiamati dissabbiatori, che in genere sono appunto equipaggiati anche per rimuovere gli oli.
In questa fase quindi, si generano dei rifiuti solidi e liquidi.
Il trattamento meccanico
A questo punto, il refluo può entrare in un primo trattamento, un semplice trattamento fisico, che però permette già di ottenere degli abbattimenti non trascurabili dei contaminanti: si lascia decantare il refluo in apparecchiature dedicate e così si riesce a rimuovere quella parte di contaminanti organici che sono presenti in forma di particelle fini, che non possono quindi essere rimosse nelle fasi di sgrossatura. Questa fase può essere aiutata dall’aggiunta di prodotti chimici che “invitano” le particelle ad aggregarsi in fiocchi più facilmente separabili.
Questo semplice trattamento permette di abbattere i contaminanti organici anche del 30%.
All’uscita di questa fase avremo un fango da gestire e dell’acqua chiarificata da trattare nelle fasi successive.
Il trattamento biologico
A questo punto il refluo entra in quello che è un po’ il cuore dell’impianto: il trattamento biologico.
Qui si ha una rimozione della sostanza organica, dell’azoto e in parte del fosforo.
In questa fase di trattamento il refluo entra in una vasca aerata in cui i batteri, già in origine presenti nei reflui, sono stati fatti crescere e vengono mantenuti a una concentrazione alta e costante. Questi batteri “mangiano” la sostanza organica presente nei reflui e si moltiplicano (e per farlo consumano anche azoto e fosforo) formando “fiocchi” di biomassa che viene mantenuta in sospensione nel refluo grazie a sistemi di iniezione di aria (perché i batteri hanno bisogno anche di ossigeno per vivere e fare il loro mestiere).
Vi farà sorridere, ma questi batteri sono forse la cosa più preziosa dell’impianto, sono come il lievito madre per il fornaio: bisogna assicurarsi che abbiano il giusto quantitativo di ossigeno e vanno protetti da improvvisi arrivi di sostanze tossiche per esempio. Se loro muoiono, l’impianto non funziona.
In un sistema tradizionale, questo trattamento avviene in una grossa vasca, da cui esce un’acqua molto torbida perché contenente tutti i fiocchi di biomassa, che deve quindi essere separata dal refluo trattato. L’acqua passa quindi in un sedimentatore, sul cui fondo si depositano i fiocchi, mentre l’acqua chiarificata esce dalla parte alta del sedimentatore.
Una parte del fango è inviata a trattamenti dedicati, mentre gran parte è ricircolata alla vasca del trattamento biologico, in modo da mantenervi la concentrazione di biomassa necessaria al processo di rimozione della sostanza organica.
Un sistema tradizionale necessita di molto spazio, ma per fortuna negli anni sono state sviluppate diverse configurazioni per il trattamento biologico, come, per esempio, sistemi a membrana: la separazione della biomassa avviene “filtrando” il refluo con delle membrane di ultrafiltrazione, col doppio vantaggio di risparmiare il grande spazio necessario al sedimentatore e di avere un’acqua priva di solidi all’uscita, mentre nel caso di un sedimentatore si ha un residuo di qualche decina di mg/l di solidi sospesi. Oltretutto questi sistemi permettono di avere una concentrazione di biomassa maggiore nella vasca del trattamento biologico e quindi, a parità di biomassa presente, un minore volume della vasca stessa.
A questo punto il refluo in genere è idoneo allo scarico, cioè rispetta le concentrazioni di legge per poter essere scaricato in un corpo idrico superficiale, a meno di esigenze riguardanti un’ulteriore rimozione del fosforo o microinquinanti particolari, colore o simili. Spesso una semplice filtrazione, aiutata magari con alcuni prodotti chimici specifici per determinate sostanze, permette di migliorare sensibilmente la qualità delle acque scaricate.
Ma si può fare (molto) di più e trasformare un buon refluo trattato in una buona acqua.
Gli affinamenti e fino a dove si può arrivare
La qualità dell’acqua trattata può essere migliorata in molti modi, a seconda dell’obiettivo che ci si pone:
è possibile filtrarla su carboni attivi, in modo da rimuovere contaminanti organici residui e microinquinanti;
si può effettuare una disinfezione con iniezione di prodotti chimici come composti a base di cloro o acido peracetico, oppure facendo passare l’acqua ben filtrata sotto a delle apposite lampade UV;
si può ossigenare l’acqua in modo che il suo contenuto di ossigeno sia in linea con quello di una buona acqua di fiume; per farlo spesso basta farla scorrere su delle “cascatelle” artificiali;
I trattamenti di affinamento possono anche essere visivamente piacevoli ed è il caso dei lagunaggi e della fitodepurazione, in cui il refluo trattato è alimentato a delle vere e proprie lagune artificiali, che ne migliorano la qualità rimuovendo i contaminanti organici residui, la carica microbica, i nutrienti. Vi invito a leggere qualcosa del Piano Delta di Barcellona, dove l’impianto di trattamento dei reflui, che è dotato di un trattamento di fitodepurazione, contribuisce al mantenimento della zona umida, in cui ci si può recare per fare birdwatching (trovate come sempre un link nella sezione fonti e spunti).
Ma è possibile spingere l’affinamento fino ad ottenere dell’acqua idonea all’uso nella produzione di wafer di semiconduttori (che necessitano di una qualità superiore rispetto a quella dell’acqua potabile), come avevo raccontato in una delle prime pillole, utilizzando membrane di ultrafiltrazione e di osmosi inversa.
I fanghi
Non scordiamoci che nella prima sedimentazione e nei trattamenti biologici si sono generati dei fanghi, che vanno gestiti.
Si tratta di materiale putrescibile, soprattutto quello che viene dalla prima sedimentazione, e quindi pone problemi di igiene e odori, solo per dirne due. Il fango deve essere stabilizzato, cioè la putrescibilità deve essere ridotta.
Per farlo, ci sono due vie, una aerobica e una anaerobica.
Il processo aerobico prevede che ai batteri sia fornito ossigeno e si può dire, in modo molto semplificato, che sia un’estensione del processo biologico che si fa sulle acque: i batteri consumano la sostanza organica residua dei fanghi usando ossigeno.
Il processo anaerobico è quello che cattura di più l’attenzione quando si considera l’economia circolare: in questo caso, infatti, non si fornisce ossigeno al fango e si sviluppa una popolazione batterica che effettua una digestione anaerobica delle sostanze organiche presenti nel fango, producendo come scarto un gas composto prevalentemente da metano e CO2, il biogas.
Questo gas, dopo essere stato trattato per eliminarne le impurità come tracce di zolfo, può essere utilizzato per produrre energia elettrica e calore che sostengano l'impianto di depurazione.
Il fango stabilizzato viene poi disidratato e inviato a smaltimento o ad alcuni utilizzi particolari.
Le green factory
Questo è il futuro degli impianti di trattamento dei reflui: diventare delle green factories, cioè delle fabbriche verdi, sulla scia della nuova direttiva europea.
Come avevo accennato nell’articolo dedicato a questa direttiva, l’Europa spinge verso l’economia circolare: gli impianti dovranno recuperare fosforo dai fanghi, essendo il fosforo tra le materie prime critiche individuate dall’Unione, ma anche puntare al riuso delle acque trattate.
Tempo fa, all’esordio di questa newsletter, avevo parlato dell’impianto di Billund, in Danimarca, che è una di queste fabbriche verdi:
Come ti trasformo il refluo in una risorsa
Quando dico che i reflui possono essere una risorsa, in genere il mio interlocutore si sforza di trattenere smorfie, pensando al contenuto del suo gabinet…
Come ci fidiamo?
Come possiamo essere sicuri che questi impianti funzionino?
Le apparecchiature e le vasche sono dotate di strumenti per il controllo automatico degli impianti, che misurano praticamente in tempo reale alcuni parametri delle acque, come per esempio il contenuto di ossigeno nella vasca del trattamento biologico o la torbidità e il contenuto di sostanza organica del refluo trattato prima che venga scaricato. Se uno dei parametri non è nell’intervallo di valori considerati “normali” vengono inviati allarmi al quadro di controllo dell’impianto, in modo che gli operatori possano intervenire.
Gli impianti sono presidiati da operatori che ne controllano i funzionamento e si occupano della loro manutenzione
Esistono dei piani di monitoraggio degli impianti che prevedono che periodicamente si prelevino e analizzino in laboratorio campioni di acqua in vari punti dell’impianto per monitorarne il funzionamento, in aggiunta a quanto fatto dagli strumenti installati in campo del primo punto.
Siamo arrivati alla fine di questo volo d’uccello su un impianto di trattamento dei reflui civili. Spero vi sia piaciuto e, se avete qualche curiosità o qualche dubbio, lasciate un commento.
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Fonti e spunti
Oltre alle altre pillole a cui ho rimandato, vi consiglio la lettura di questo articolo se siete incuriositi dal Piano Delta di Barcellona. Per quanto riguarda le fabbriche verdi, potete leggere anche questo articolo